Su Beccacivetta di Maddalena Castegnaro Guidorizzi

            Le protagoniste, come dicevo, sono tutte donne, proiezioni, almeno in parte, dell’autrice, (le figure maschili sono rarissime e quando ci sono fanno da semplici comparse), quasi tutte inquiete, insoddisfatte per varie ragioni della loro vita, ma anche del mondo che le circonda. Esse vanno alla ricerca di  una dimensione diversa, più autentica dell’esistenza, che cercano di raggiungere anche con l’espressione artistica (la poesia, ma anche il disegno, la pittura), col contatto con la natura, col ritorno all’infanzia, con l’abbandonarsi ai sogni, alle fantasie,  ecc. Costante perciò è un altro motivo, collegato al primo, quello della ribellione, della rivolta contro le convenzioni, gli schemi della società, che sembrano soffocare la libertà di ciascuna. Non a caso i termini che ritornano più spesso nel libro sono: “rigenerazione” e “riappropriazione”.

            Un’altra componente importante delle storie narrate è la presenza e la varietà delle sensazioni, che permettono alle donne protagoniste dei racconti di avvicinarsi a questa dimensione “altra” dell’esistenza. Sensazioni visive (i colori nella prosa Le mute  o in Lucidamele), olfattive (gli odori della terra in Strix ), uditive (fischi, canti), ecc.

            Dicevo che la poesia a pag. 85 può costituire proprio la chiave di lettura del libro, tanto ogni verso di essa sembra adattarsi a ciascuna delle storie narrate. Perciò conviene leggerla:

Poesia per:

vivere i misteri, gli enigmi, gli invisibili della realtà

viaggiare oltre l’orizzonte del certo, del possibile

riappropriarsi del significato del proprio esistere

non smarrirsi nel silenzio e nella solitudine

interpretare le Voci della Natura

esorcizzare la paura, il dolore, la morte

non perdere i ricordi e i futuri

ricostruire le infanzie perdute  

liberare pensieri, emozioni, vibrazioni, affetti  

non soccombere al vuoto

abbandonarsi alla tenerezza

riscoprire il piacere di giocare con le parole  

ascoltare e svelarsi

far cantare i desideri

ascoltare i propri passi

stupirsi di fronte alla stelle

far rinascere parole morte

riempire la vita di sogni

far ritornare i pettirossi

chiudere la gioia tra le dita

non saccheggiare il cielo e la terra

contemplare la propria ombra

dare parole alla Libertà…

            Adesso, anche alla luce di questa poesia, vorrei passare rapidamente in rassegna alcune delle prose raccolte nel libro. Alla prima delle storie narrate, L’infanzia pensata, sembrano adattarsi, in particolare, due versi di questa poesia: “ricostruire le infanzie perdute” e “riscoprire il piacere di giocare con le parole”. Qui infatti la protagonista cerca di recuperare gli anni perduti della sua infanzia, e soprattutto una dimensione gioiosa e spensierata della vita, ritornando, non si capisce se nella realtà o nella fantasia, al paese natale (un paesino del Veneto), Beccacivetta, dove incontra una vecchia contadina, Agnese, una sorta di seconda madre (“madre di pelle” è definita) che la accoglie con le dolci espressioni dialettali che le fanno “rivivere il  passato”: “miola de persego”, “buteleta”, “slandrona”. 

            A un problema quanto mai attuale, quello dei fenomeni migratori con tutti i problemi che comportano, di sradicamento, di perdita della propria identità, ci riporta invece Primopremio, storia di una donna africana inviata come “primo premio” appunto, in un concorso, a una bianca, la quale si porta appresso una zolla di terra dell’Africa, ma non riesce a superare questo distacco, anche se la donna bianca le offre la sua amicizia e il suo affetto.

            Il motivo della ribellione agli schemi, alle convenzioni della società è presente in Conto alla rovescia  e Nunc sum, ego sum. Nel primo di questi due pezzi la contestazione della protagonista, Cometa, all’ “Autorità” e il desiderio di riappropriarsi della sua vita sono rappresentati dal rifiuto dell’ “insulso pavimento” e delle sue ordinate “fughe”, simbolo appunto di un percorso esistenziale già pre-definito, pre-ordinato. Nel secondo, Ester, rifiuta la cultura scolastica, libresca, rappresentata da una impolverata Biblioteca e scopre la verità del suo essere “dal suo libro sepolto”, cioè dalla sua interiorità, dai suoi più autentici sentimenti.

            Assai suggestive sono Strix, la vera storia di Aida Maravilia e Le mute, dove è presente una forte componente surreale. Nella prima si narra la storia di una donna, Aida, appunto, nata a Tripoli, ma trasferitasi in Italia durante la guerra e di una sua amica con la quale ha in comune il vagabondare, l’amore per i cani e la passione per il fischio. In una notte di luna Aida scompare, ma la sua amica riesce a percepirne la presenza negli odori, nei rumori della terra. L’altro raccontino invece, Le mute, è la storia di due donne mute che si scambiano messaggi con nastri colorati, usano cioè il linguaggio dei colori non quello dei gesti. Una mattina però scende una fitta nebbia che dura alcuni giorni, impedendo loro di comunicare e spingendo le due donne in un grave stato di depressione al punto che si lasciano morire. La notte seguente alla loro scomparsa appare l’arcobaleno sul quale gli abitanti del paese riescono a intravedere due figurine che agitano nastri colorati. Si tratta appunto delle due donne che si sono trasformate “in pura luce, in puro colore” .

            In altre prose è presente il motivo del sogno, che permette di superare una realtà triste, deprimente. In Sogno chirurgico una donna, madre di figli già adulti e lontani, durante un intervento chirurgico, sogna tanti bambini in miniatura che giocano sul suo corpo e che appagano il suo “maturo bisogno di nuove maternità”. Al risveglio, si sente rigenerata, finalmente padrona di se stessa: “Figlia, sposa, madre un tempo, ora donna: per se stessa”. In Il suo piccolo mouse  una preside che sta per andare in pensione accende il computer, inserisce un floppy disk con il gioco della “Mina vagante” e come per incanto le appare l’immagine di una “scuola virtuale”, una specie di luogo paradisiaco pieno di tutti i comfort e i divertimenti. A questo punto la donna decide di restare, rinunciando al pensionamento. 

            In un’atmosfera surreale si svolge pure Dal Tempo perduto al Tempo di Marea, dove non a caso si fa riferimento a una  famosa opera pittorica del maestro del surrealismo pittorico, Salvador Dalì, esplicitamente citato. Qui si narra di due donne tassiste che devono raggiungere una zona di mezza montagna per accompagnare un gitano. Una volta arrivato a destinazione, questo impone loro di non entrare nel “Bosco del tempo perduto”, che rappresenta forse il rimpianto o la vita nelle sua meccanicità, da cui pure una di loro è attratta. Poi riprendono la strada del ritorno e recuperano il Tempo di Marea, che è forse il tempo della libertà. Non a caso diventano “padrone del loro essere, signore del tempo e della vita”. Anche qui quindi è presente il motivo della riappropriazione della vita, che sembra il motivo costante del libro.

            In alcuni racconti l’attenzione dell’autrice va anche a figure di donne emarginate a volte  per difetti fisici, come le due mute del raccontino citato, le quali cercano di superare il loro handicap con il linguaggio festoso dei colori, o Rigoletto, la storia di una donna gobba che invece si abbandona alla disperazione uccidendosi (o almeno così pare di capire). Altre volte ci sono invece figure di donne che scelgono o sognano di fare strani mestieri, come in Lucidamele, dove appunto la protagonista sogna di lucidare le mele per farne emergere tutte le tonalità di colori, le striature, quasi per superare il grigiore della vita e affacciarsi su una realtà “altra”.

            L’ultimo racconto, Poeta, è, in un certo senso quello riassuntivo di tutto il libro. Qui l’io narrante delinea, quasi sdoppiandosi il ritratto di una donna (se stessa), che, scrive, “voleva essere Poeta”, dove è significativo il termine usato, “Poeta”, scritto al maschile e con la lettera maiuscola, quasi a indicare la dimensione totalizzante, assoluta della poesia, come capacità di rivelare la parte nascosta di se stessi, di dar voce “alle tempeste, follie e malinconie, rabbie e furori di sentimenti, tenerezze ed affetti d’amore” (p. 85). “Era venuto il momento ― scrive ancora l’autrice ― di immergersi in questo suo altro essere, di afferrarlo e di rivelarlo con parole che non ferissero la timidezza del cuore, la verità dei ricordi, la sincerità dei sentimenti” (p. 87).

            La poesia, insomma, come capacità di ri-generare, di riappropriarsi della vita.  Poesia intesa in senso lato come libertà dai condizionamenti, dalle angustie della vita quotidiana. E, in fondo, tutte le figure presenti nel libro non sono che proiezioni di questa idea e quindi anche, come abbiamo detto prima, dell’autrice del libro.

[In A. L. Giannone, Modernità del Salento, Galatina, Congedo, 2009]

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