Un altro Salento: su Io sono la bestia di Andrea Donaera

di Antonio Devicienti

Non discuterò qui né della trama né della caratterizzazione dei personaggi, ma del linguaggio e dello stile dell’opera di Andrea Donaera Io sono la bestia (NN editore, Milano 2019): è mia convinzione che il libro s’imponga non solo in ragione di un racconto avvincente e originale, ma, ancor più, proprio in forza del suo impianto linguistico e del montaggio narrativo – penso sia facile lasciarsi coinvolgere profondamente dal racconto (a me è successo di averlo letto in poche ore senza sapermene staccare), ma perpetrerei un’ingiustizia nei confronti dell’autore se mi fermassi qui, poiché, a una riflessione più ponderata e lucida, sono proprio le virtù dello stile e del linguaggio a costituire il valore decisivo dell’opera perché linguaggio e stile ne portano alla luce i significati profondi.
Esiste un rapporto viscerale tra i personaggi e il linguaggio con il quale essi si esprimono o che li racconta e che non è semplicemente (o semplicisticamente) il dialetto salentino oppure l’italiano ricalcato sulle espressioni e sulla sintassi salentine (soluzione cammillerescamente troppo ovvia e, francamente, stanca e ormai superata), ma si tratta di un linguaggio necessitato dall’energia che ogni personaggio in diversa misura possiede: ogni personaggio è il proprio linguaggio perché soltanto la postura linguistica (dialogo, focalizzazione interna, analessi, spazi bianchi all’interno del testo, montaggio che definirei cinematografico degli episodi e sospensioni narrative) dà conto dei differenti ruoli e delle diverse interazioni, anche delle contrapposizioni violente e dei rapporti di forza – e il dialetto, che talvolta esplicitamente affiora, è lingua naturale e sorgiva che riafferma il legame con le cose e con i luoghi, il lessico e la sintassi che identificano ognuna delle dramatis personae non sono a loro volta decorativi, ma costituiscono un vero e proprio corpo verbale all’interno del quale e a partire dal quale ogni singolo personaggio vive e ha senso – e non a caso proprio il corpo (attraente o brutto, segnato dalla sofferenza o sfigurato dalla violenza, affamato o impaurito o desideroso d’amore o schifato da sé stesso) è un fondamentale tema conduttore del libro.

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