Postfazione a L’isola e il leone

di Maurizio Nocera

Per me ritrovare (oggi spesso per via email) Augusto Benemeglio è come ritrovare un fratello nelle lettere, un fratello le cui tracce non si smarriscono più. Mi ha insegnato molto Augusto. Per questo non posso dimenticarlo. Questa è una riflessione (L’uomo di mare che guarda oltre il confine) pensata nel 2008, all’epoca del suo libro Ritratti salentini. In essa (introduzione al libro) scrivevo del suo amore per «il teatro, per la letteratura, per la poesia».

La poesia è la grande, grandissima passione di Benemeglio. Senza di essa non saprebbe come vivere. E il libro L’isola e il leone è anche – e soprattutto – poesia, quando come versi quando come prosa poetica. Ovviamente l’isola è la nostra città antica (Gallipoli, cioè lo scoglio grande), il leone (alato) è quello di san Marco (simbolo supremo della città veneta).

La prima volta che questo racconto lungo vide la luce era il 1984, curato dalla Pro-Loco gallipolina, mentre a stamparlo fu la Graphosette di Taviano. L’edizione quella del Gruppo sperimentale T. I. Gallipoli. Oggi il bel volume di allora (firmato non da Augusto Benemeglio ma dal suo pseudonimo Augusto Buono Libero) me lo ritrovo davanti, sulla scrivania, tra il computer e il corpo. Il mio esemplare (formato 1/8°) è cartonato con uno stampiglio dorato di un galeone sulla prima di copertina, mentre la sovra-coperta, a tutta estensione, mostra l’assedio (1484) di Gallipoli da parte della flotta della Repubblica di Venezia la Serenissina. Si vedono galeoni sotto le mura della città “fedele” e scale e pertiche all’arrembaggio. Si tratta della foto di una grande tela a olio del pittore gallipolino Aldino De Vittorio, grande amico dell’autore,

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