Quanto costa all’Italia l’istruzione regionalizzata?

di Guglielmo Forges Davanzati

La regionalizzazione dell’istruzione, uno dei punti cardine dell’autonomia differenziata nella versione della bozza recentemente licenziata dal Ministro Calderoli, rischia di contribuire a impoverire culturalmente ed economicamente non solo il Mezzogiorno, ma anche il Paese nella sua interezza. Si tratta della proposta di far gestire le scuole direttamente alle Regioni, che dovrebbero occuparsi in via diretta del reclutamento dei professori, attingendo al loro bilancio. Non è questa la sede per trattare aspetti di natura qualitativa, relativi al contenuto degli insegnamenti regionali. Avremo bisogno di qualche anno per valutarne l’impatto – verosimilmente molto negativo – sulla produttività del lavoro dei giovani. Quello che interessa maggiormente valutare, ad oggi, è l’effetto stimabile (per grandi linee) della revisione istituzionale in corso sui bilanci regionali al Sud: è acclarato, infatti, nella letteratura scientifica specialistica, che i costi monetari complessivi del disegno autonomista, pur essendo molto alti per quanto attiene alla sottrazione di risorse al Sud, non sono facilmente quantificabili. Occorre innanzitutto chiarire che l’idea della scuola regionale ha il suo fondamento (teorico, in senso lato) nella convinzione che occorre formare individui da destinare, come lavoratori, a impieghi immediatamente utilizzabili nelle imprese già esistenti al Nord. In più, la scuola regionale, secondo soprattutto la Lega, trasmetterebbe l’identità locale alle future generazioni, secondo una logica di trasmissione ereditaria della “piccola patria” lombardo-veneta.

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