La voce di Giorgio Agamben 1. La Grande Trasformazione

Come si comprende, oggetto del discorso per Agamben non era il fatto dell’attualità in sé considerato, ma le implicazioni politiche che esso comportava. Secondo il filosofo, la pandemia è stata l’occasione perché si consolidasse “la nuova forma di governamentalità” fondata sulla “sicurezza e l’emergenza”, che egli denuncia nell’Intervento al Senato del 7 ottobre 2021, inquadrandola nel più generale fenomeno della “Grande Trasformazione”. In che cosa questa consista, Agamben lo spiega bene nello scritto intitolato Il volto e la morte del 3 maggio 2021, dove dall’analisi dei nuovi comportamenti collettivi imposti durante la pandemia, la rinuncia all’esibizione del volto, al culto dei morti e il distanziamento sociale, egli deduce che “il progetto planetario che i governi cercano di imporre è, dunque, radicalmente impolitico. Esso si propone anzi di eliminare dall’esistenza umana ogni elemento genuinamente politico, per sostituirlo con una governamentalità fondata soltanto su un controllo algoritmico. Cancellazione del volto, rimozione dei morti e distanziamento sociale sono dispositivi essenziali di questa governamentalità.”

La filosofia qui è al servizio della politica e diventa forza critica tanto più radicale quanto più i poteri dominanti vorrebbero ridurla a semplice rappresentazione riflessiva dell’esistente. Lo si vede bene anche nell’intervento del 7 ottobre 2022 intitolato La guerra atomica e la fine dell’umanità, evidentemente sollecitato dal timore collettivo che la guerra convenzionale in Ucraina potesse degenerare in guerra atomica. Agamben non ha dubbi: “La guerra che temiamo è sempre in corso e non è mai finita, come la bomba una volta gettata a Hiroshima e Nagasaki non ha mai smesso di essere gettata”. Ciò vuol dire che dal quel fatidico agosto del 1945 l’umanità intera non cessa di essere sotto scacco, a prescindere dalle singole emergenze belliche che hanno insanguinato e continuano a insanguinare il pianeta. Così il pensiero filosofico si sbarazza di ogni inutile piagnisteo e ci mette davanti alla realtà delle cose, a cui possiamo reagire solo con strumenti politici. Infatti, scrive Agamben, “non esistono fatalità senza alternative”, purché non si rinunci all’esercizio della politica. Contro le strategie dei poteri dominanti, fondate sull’ “alleanza sempre più stretta fra scienza, tecnologia e capitale” (Sulla fine del mondo del 18 aprile 2019), Agamben auspica la formazione di “qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi quanto più è possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione.” (Una comunità nella società del 17 settembre 2021).

La radicalità del pensiero filosofico approda dunque ad una visione del mondo e dei rapporti umani che rifonda su basi amicali e comunitarie la politica, o almeno hoc est in votis. Forse, pensa Agamben, solo quando questo processo sarà compiuto, la bomba di Hiroshima e Nagasaki cesserà di essere gettata.

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