La Scuola d’Arte di Lecce e la vita letteraria nel Salento nella prima metà del Novecento

di Antonio Lucio Giannone

L’istituzione e i primi anni di vita della Regia Scuola Artistica Industriale di Lecce coincidono con un periodo non particolamente felice per le arti e le lettere salentine. Nei primi due decenni del Novecento, infatti, i pittori locali erano fermi ancora, in massima parte, ai canoni di un piatto naturalismo di scuola napoletana, gli scultori a quelli di un accademismo e di un classicismo di maniera e i poeti ai modelli, ormai vetusti, della lirica tardoromantica e del Carducci. I fermenti di novità che si erano sviluppati in questi settori all’inizio del secolo, in Italia e in Europa, non erano riusciti quasi mai a penetrare nell’ambiente piuttosto chiuso e asfittico della provincia.

            L’unica eccezione, com’è noto, era costituita dal futurismo che non solo era ampiamente conosciuto e dibattuto sulla stampa locale fin dalla sua fondazione ma aveva nel Salento anche due   rappresentanti: Domenico (Mimì) Frassaniti e Antonio Serrano[1]. Frassaniti, che aderì ufficialmente al  movimento marinettiano già nel 1909, è stato uno dei primi critici del futurismo a cui  dedicò numerosi articoli  sul settimanale leccese “Il Risorgimento”  e uno studio critico rimasto inedito, composto nel 1910,  che è forse, in assoluto, il primo in tutta Italia. Serrano invece, che aveva studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, fu uno dei rari seguaci nel Meridione delle idee futuriste in pittura e, in particolare, delle teorie boccioniane del dinamismo plastico, che cercò di mettere in atto in alcune  opere realizzate tra il 1913 e il ‘16. Ma questo artista, che deve essere considerato l’iniziatore dell’avanguardia  nel Salento, nel corso della sua breve carriera subì  le suggestioni, oltre che del futurismo, delle tendenze più avanzate della pittura contemporanea, dall’impressionismo al divisionismo, dal postimpressionismo  al cubismo. Inoltre dimostrò anche notevoli qualità letterarie che si rivelano soprattutto in alcuni “frammenti” in prosa compresi nel suo Diario, di gusto liberamente impressionistico alla maniera di Ardengo Soffici.  

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