La Scuola d’Arte di Lecce e la vita letteraria nel Salento nella prima metà del Novecento

            Proprio Serrano, nel primo degli articoli apparsi, tra il 1912 e il ‘13, sul settimanale leccese “Il Tribuno salentino”, con i quali si proponeva di informare i suoi concittadini sulle novità artistiche più recenti, accennava all’arretratezza in cui versava il Salento in questo campo: “Ripeto, è venuto tempo di levar la voce pur qua, in questo paese dove un tempo nacque Toma, ma che ora è un umile e lontano, e diciamolo pure senza velo, in fatto di arte, quasi morto centro di provincia”[2]. E più avanti continuava:

Certamente, so bene, è un po’ folle, o almeno prematuro, parlare così di arte qua, dove si vede ogni tanto qualche opera davanti alla quale tutto  si può sentire, tranne che l’arte; dove non sempre giunge qualche notizia buona, o se pur giunge, nessuno la legge; so pure che le mie parole, se desteranno qualche interesse, sarà di riprovazione, che non è male, o di riso, che, per avventura, è male assai; pochi s’interessano di arte qua da noi, e quei pochi, anche quando lo fanno, se ne interessano nel modo che sappiamo; provo però: senza molta fiducia, magari, ma sereno; pago, se mai, di aver levato l’umile mio canto di ammirazione per quei Sommi che la gioia dell’arte seppero e ci danno, e che venero; lieto di poter fare qualche cosa per la città mia che adoro”[3].

E qui emerge chiaramente tutta la distanza che separava la solitaria ricerca di Serrano dall’ambiente artistico locale.

            La situazione incomincia a cambiare gradualmente, almeno nell’ambito delle arti figurative, negli anni Venti. In quel decennio infatti si svolge un’attività espositiva a carattere collettivo di una certa continuità, con le tre  Biennali d’arte di Gallipoli dal 1921 al ‘25  e quelle  di Lecce dal 1924 al ‘28, le quali però non incidono più di tanto sulla realtà artistica locale, essendo prive, fra l’altro, del supporto di una critica  degna di questo nome. Intanto, dopo la morte di Serrano, avvenuta nel 1922, il testimone della modernità artistica nel Salento era passato nelle mani di Geremia Re, che proprio quell’anno venne nominato insegnante di decorazione pittorica presso la Scuola Artistica di Lecce. La lezione di Re, che a partire dal 1921 si fa conoscere direttamente anche con una serie di mostre personali, incomincia a dare i suoi  frutti già nei primi anni Trenta, allorché dalla Scuola escono gli allievi più dotati: Nino Della Notte, Mino Delle Site e Lino Suppressa. Non a caso Vittorio Bodini, in un articolo del 1932, pur non condividendo in pieno la sua posizione “novecentista”,  riconosceva a Re il merito di avere immesso nei suoi alunni “il soffio di tendenze nuove”, che aveva tanto più valore in una città come Lecce la quale viveva “la sua vita monotona, unicolore, fingendo di ignorare l’esistenza di movimenti artistici e culturali contemporanei”[4].

            Successivamente Delle Site, trasferitosi a Roma nel 1930 per frequentare il Liceo artistico, aderisce al futurismo, diventando uno dei principali esponenti dell’aeropittura, ma, proprio grazie all’appoggio di Re, nel febbraio del 1933 riesce ad allestire nel Circolo Cittadino di Lecce la sua prima mostra personale, che rappresentò un’assoluta novità per l’intera regione. In quell’occasione si forma anche il primo, significativo sodalizio tra un artista e un letterato nel Salento, perché a presentare la mostra e a difendere l’amico dall’attacco di benpensanti e “passatisti” si schiera proprio Bodini, allora studente liceale, il quale aveva dato vita a un gruppo futurista, il Futurblocco leccese. Il giovane poeta scrive ben tre articoli sulla personale di Delle Site,  mettendo in rilievo anche l’abissale distacco esistente tra le anacronistiche concezioni artistiche cittadine e le nuove esperienze dei futuristi. In uno di essi, ad esempio, così affermava: “Or è un anno, Lecce – in fatto d’arte – era relegata alle concezioni michettiane, e quasi sembrava a pochi, giovani e – meno, ma forse ancor oggi – derisi novatori destinata a starsene per ancora lungo tempo chiusa in questo ontoso anacronismo”[5].

            Bodini porta una ventata di novità anche in campo letterario, pubblicando, su “Vecchio e Nuovo” e su “La Voce del Salento”, per tutto il 1932 e i primi mesi del ‘33,  testi creativi in versi e in prosa che spiccano nell’insulsa produzione locale per l’insolita grazia e l’originalità. In essi la rielaborazione di tematiche tipiche dell’aeropoesia (la velocità, i nuovi mezzi di trasporto come il treno, l’automobile, l’aeroplano, ecc.) andava congiunta a una già matura assimilazione delle tecniche simboliste e alle suggestioni della lirica italiana primonovecentesca con esiti di un certo rilievo anche nel panorama della poesia futurista nazionale.

            A fiancheggiare il Futurblocco ci furono un intelligente giornalista come Ernesto Alvino, che aprì il suo settimanale, “Vecchio e Nuovo”, alla collaborazione dei futuristi,  e lo stesso Re, i quali, insieme allo scultore Antonio D’Andrea e ad altri ancora, figurano tra i firmatari di una “lettera aperta” rivolta a F. T. Marinetti, in cui il fondatore del movimento era invitato a venire a Lecce per “svegliare” la città “borghese e semiaddormentata”[6].

             Ma non è solo il futurismo a vivacizzare la vita artistica e letteraria salentina in questo periodo. Anche il Novecento, l’altra principale corrente pittorica del tempo, contribuisce a svecchiare forme e tematiche provinciali, potendo contare su  alcuni autorevoli rappresentanti in città, quali lo stesso Geremia Re, Temistocle De Vitis,  Mario Palumbo e Michele Massari. I primi tre anzi si presentarono con una mostra collettiva al Circolo Cittadino di Lecce e per l’occasione, secondo la testimonianza di Delle Site, De Vitis compose “un cartellone a più colori da lui inciso su legno raffigurante il numero 900, tenuto in alto da due mani”[7].

            Dopo questa vampata però il Salento, in campo culturale, ricade nella consueta apatia, dalla quale si risveglia solo all’inizio degli anni Quaranta, allorché Vittorio Bodini e Oreste Macrì danno vita nel 1941 alla “terza pagina” di “Vedetta Mediterranea”, un settimanale diretto ancora da Alvino. La pagina, che aveva un’impostazione ermetica, venne soppressa dopo i primi dodici numeri, non essendo in linea con le direttive politiche e culturali del regime fascista. Tuttavia fece in tempo a far conoscere in provincia alcuni dei nomi maggiori della letteratura italiana ed europea del tempo, stabilendo anche un ideale collegamento con Firenze, che continuerà anche in seguito[8]

            Ma è soprattutto nell’immediato dopoguerra e nei primi anni Cinquanta che la vita letteraria e artistica riprende nuovo slancio e vigore. In questo periodo infatti si assiste  a un generale moto di rinnovamento delle arti e delle lettere promosso da un gruppo di scrittori, pittori e scultori, i quali avevano trovato nella propria terra la fonte principale d’ispirazione per le loro opere. Questo gruppo, composto, fra l’altro, da scrittori come Vittorio Bodini, Vittorio Pagano e Luciano De Rosa e da alcuni artisti, quasi tutti legati alla Scuola d’Arte, come Geremia Re, Aldo Calò, Lino Suppressa, Nino Della Notte, Antonio D’Andrea, Luigi Gabrieli, costituiva una vera e propria koiné  artistico-letteraria, animata dall’ esigenza di rinnovare il linguaggio figurativo e quello poetico attraverso il riferimento alle più innovative esperienze novecentesche.

            In questi anni il capoluogo salentino vive il suo momento di maggiore vivacità in campo culturale. Riviste letterarie,  spesso di rilievo nazionale, da “Libera Voce” di Cesare e Federico Massa all’ “Albero” di Girolamo Comi, dall’ “Esperienza poetica” di Bodini al supplemento letterario del “Critone” di Vittorio Pagano, fino al “Campo” di Francesco Lala, Giovanni Bernardini e Nicola Carducci, continue mostre d’arte, manifestazioni culturali di grande livello come le Celebrazioni salentine ed il Premio Salento fanno di Lecce una vera cittadella delle arti e delle lettere, una “piccola Montmartre”, come venne definita[9].

            Numerose sono le occasioni di incontro e di fattiva collaborazione tra scrittori e artisti, che costituiscono il dato caratterizzante della vita culturale salentina del Novecento. Non potendo, in questa sede, passarle in rassegna tutte, mi limiterò a offrire solo qualche indicazione. Sempre Bodini tiene a battesimo Lino Suppressa, con il quale stabilirà un duraturo e fecondo sodalizio, nella sua prima mostra personale svoltasi a Lecce nel 1945. Nel 1950, presenta poi uno degli avvenimenti più rilevanti del Novecento artistico salentino: la mostra di Re, Suppressa e Calò nel ridotto del Teatro Ariston. Nel suo scritto introduttivo al catalogo, l’autore della Luna dei Borboni  faceva notare la novità e  il valore del linguaggio dei tre artisti, “operante entro il medesimo clima d’arte nazionale”[10], nonché il carattere di ricerca delle loro opere, quasi per prevenire eventuali riserve da parte del pubblico locale, ancora poco abituato a  simili eventi. Insieme a Suppressa e ad Antonio D’Andrea, in occasione della terza edizione del “Maggio” di Bari del 1951,  cura inoltre la retrospettiva di Re, scomparso l’anno prima. In questi anni Bodini presenta ancora mostre e retrospettive di Carlo e Francesco Barbieri e di Luigi Gabrieli, oltre che dei maggiori pittori baresi (Raffaele Spizzico, Roberto De Robertis, Pasquale Morino, ecc)[11].

            Vittorio Pagano non è da meno nell’interesse per gli artisti locali. In particolare, il poeta e traduttore leccese segue con intensa partecipazione e vigile attenzione critica l’attività artistica di Nino Della Notte per quasi un trentennio[12], a partire dal 1946, allorché presenta la “Bottega d’arte” fondata dai fratelli Della Notte e che fu un punto di ritrovo dell’intellighenzia salentina, come lo fu, d’altra parte, quella fondata da Antonio D’Andrea nel 1938. Ma notevoli sono anche i suoi interventi su  Re, Suppressa e sui pittori salentini presenti nelle varie edizioni del Premio “Maggio” di Bari.

            A Pagano si deve anche un significativo articolo dedicato proprio alla Scuola d’Arte, che testimonia l’interesse degli intellettuali leccesi verso questa importante istituzione cittadina. Esso fa parte dei Reportages in città, dodici scritti apparsi tra il 1945 e il ‘47 sul settimanale “Libera Voce”, con i quali lo scrittore intendeva documentare particolari situazioni di disagio o  fare il punto sul funzionamento di alcune istituzioni leccesi, come l’ospedale, il manicomio, l’ospizio, il sanatorio, ecc.

            Nel reportage intitolato polemicamente L’arte perisce nella Scuola d’Arte, Pagano metteva in rilievo, dunque, la crisi attraversata in quel periodo dall’istituto a causa delle ristrettezze finanziarie, della mentalità “pratica” dei pochi studenti, che si iscrivevano soprattutto per diventare “dei bravi operai”, e dell’assenza di una efficiente capacità organizzativa, che provocava un senso di avvilimento nei docenti. La Scuola perciò, a suo giudizio, ispirava “diffidenza”, era “malvista” dalla cittadinanza. Eppure – sosteneva l’autore all’inizio – essa era dotata di “bellissimi locali” e poteva contare su insegnanti del valore di Geremia Re, Antonio D’Andrea, Guido Gremigni, Aldo Calò, Virgilio Carotti, Luigi Gabrieli, Raffaele Giurgola, Pietro Baffa, su un direttore, Annio Lora, “che è ritenuto una specie di genio poliedrico”, e su un presidente, Francesco Stampacchia, che “è uno dei più illustri letterati della città”[13]. Una visita compiuta all’istituto gli dava conferma di questa situazione, che contrastava con quella di alcuni anni prima, allorché dalla Scuola erano usciti alunni che “hanno toccato altissime vette del Parnaso, si son distinti primissimi in competizioni nazionali ed internazionali”. E tra questi citava: Antonio D’Andrea, “medaglia d’oro nell’arte del ferro e a sua volta maestro, in Galatina, di alunni che si son guadagnate altre medaglie”; Francesco Bonapace “che attualmente dirige la Scuola d’Arte di Volterra”; Lino Paolo Suppressa, “ch’è pittore già noto in molta Italia ed eccellente su molti altri del Salento”; e ancora “lo scultore Antonio Mazzotta, che non ha bisogno di didascalie; l’architetto Ninì Starace; gli stessi insegnanti Aldo Calò e Luigi Gabrieli; i fratelli Della Notte, Nullo D’Amato, ecc. (oltre ad artigiani dello stampo di Saverio Giudice, oggi industriale ed ebanista dei più apprezzati)”. Anche per questo passato glorioso, alla fine Pagano si augurava che la Scuola, che era diventata “una sorta di bottega per l’apprendistato”, riuscisse a recuperare la funzione per cui era sorta, cioè “educare gli animi all’esercizio e all’amore per l’arte”.

            Anche altri letterati collaborano attivamente, in questi anni, con gli artisti salentini. È il caso di Luciano De Rosa, che nel 1948 presentò nel capoluogo due avvenimenti di un certo rilievo, la Prima mostra del disegno e il Premio “Lecce”, “mostra di pittura, scultura e bianco-nero”, e fu sodale di Suppressa e altri pittori e scultori locali. Ma anche Giovanni Bernardini, insegnante nella Scuola d’Arte dal 1946 al ‘49, fu vicino a vari artisti come Suppressa e Della Notte, che successivamente collaborarono con lui alla rivista “Il Campo”.

            Altre occasioni di incontro e collaborazione, oltre che dalle mostre personali nelle principali gallerie leccesi (il “Cin Cin”) e baresi (“Il Sottano”), sono costituite dalle varie edizioni del Premio “Maggio” di Bari, in cui  i pittori leccesi si misero in luce nel più ampio contesto meridionale, tenendosi fedeli, come ebbe a scrivere Pagano proprio in occasione della seconda edizione, “al colore ed al senso della nostra terra, al calore e al fremito della nostra anima”[14]. Ma non mancarono nemmeno manifestazioni nazionali dove si distinsero ancora una volta  i migliori artisti salentini. Tra queste merita di essere ricordata la grande rassegna, tenutasi a Roma nel 1953, L’arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia, che servì a fare il punto sulla ripresa delle arti nel Sud. Quella mostra vide riuniti alcuni dei maggiori rappresentanti della cultura artistica e letteraria meridionale con una  significativa presenza di salentini. Era questo, in fondo, un risultato ottenuto grazie anche alla funzione svolta dalla Scuola d’Arte di Lecce in quasi quattro decenni di attività.

[In I Maestri della Règia Scuola Artistica Industriale di Lecce (1916 – 1950), a cura di S. Luperto, Lecce, Edizioni del Grifo, 2005; poi in A.L. Giannone, Modernità del Salento. Scrittori, critici, artisti del Novecento e oltre, Galatina, Congedo, 2009]


[1] Sulle vicende del futurismo nel Salento e in Puglia cfr. Verso le avanguardie. Gli anni del futurismo in Puglia 1909/1944, cat. della mostra a cura di G. Appella, Bari, Adda, 1998 e A. L. Giannone, L’avventura futurista. Pugliesi all’avanguardia (1909 – 1943), Fasano, Schena, 2002.

[2] A. SERRANO, Cronache d’arte, in “Il Tribuno salentino”, 2 novembre 1912.

[3] Ibid.

[4] V. BODINI, Futurismo a Lecce?, in “Voce del Popolo”, 2 aprile 1932.

[5] V. BODINI, La mostra futurista Delle Site al Littorio, in “La Voce del Salento”, 12 febbraio 1933.

[6] Lecce futurista vuole Marinetti (Lettera aperta a S. E. Marinetti), in “Vecchio e Nuovo”, 8 maggio 1932.

[7] Da una scatola di colori all’esperienza futurista, intervista a cura di A. L. Giannone,  in “Quotidiano di Lecce”, 11 settembre 1980.

[8] Sulle riviste letterarie salentine è d’obbligo il riferimento a D. VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960), Lecce, Milella, 1985.

[9] Cfr. G. D’ARPE, Fra mostre e circoli di Lecce. Alla piccola Montmartre “fauves” e post-impressionisti, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 10 gennaio 1956.

[10] V. BODINI, presentazione di Re Suppressa Calò, cat. della mostra, Ridotto Teatro Ariston, Lecce, 18 dic. 1949 – 6 gennaio 1950.

[11] Per un  esame dell’attività di critico d’arte svolta da  Bodini ci sia permesso di rinviare a A. L. GIANNONE, Bodini prima della “Luna”, Lecce, Milella, 1982, pp. 91-105.

[12] A questo proposito cfr. A. MANGIONE, Rassegna di testimonianze critiche, in AA. VV., Nino Delle Notte, Fasano,  Schena, 1985, pp. 45-77.

[13] V. PAGANO, L’arte perisce nella Scuola d’Arte, in “Libera Voce”, 28 febbraio 1947; ora in V. PAGANO, Reportages in città e altre prose, a cura di P. Greco, Lecce, Conte, 1996, pp. 126-134, da cui sono tratte le nostre citazioni.

[14]  P., I pittori leccesi in rassegna a Bari, in “Paese Sera”, 8 giugno 1952.

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