La Nuova Lecce e i limiti del municipalismo salentino

di Guglielmo Forges Davanzati

Accade talvolta, nel nostro Paese, che siano emanate alcune buone leggi, pur nel delirio normativo e di ipertrofia normativa nel quale l’Italia è precipitata. Si tratta di leggi, però, poco conosciute. Così è per la legge 54/2014, che promuove l’aggregazione di comuni in centri di più grandi dimensioni. Perché non pensare, allora, a fare di Lecce una città metropolitana, avvalendosi di questa normativa? La legge in questione propone uno scambio virtuoso, che avvantaggia tutti e rispetto al quale è ben difficile porre obiezioni formali e sostanziali serie. L’aggregazione di comuni è soggetta al voto referendario. Si tratta dello scambio virtuoso fra superamento del municipalismo italiano – e dunque dei comuni di piccola e piccolissima dimensione – avendo come compenso un ingente riconoscimento in bilancio per la nuova Amministrazione. La legge 54/2014 consente a Lecce di diventare una città grande, attraverso la fusione dei comuni limitrofi (Lizzanello, Surbo, Monteroni, San Cesario e altri comuni vicini) da farsi mediante un referendum. Ci si propone di istituire, tramite referendum, Lecce città metropolitana, aggregando nel capoluogo i comuni strettamente confinanti. Questa proposta si rende possibile mediante una fusione “per incorporazione” nell’attuale comune di Lecce. La Legge 56/2014 avrebbe dovuto essere attuata in relazione alla riforma costituzionale. Dal punto di vista giuridico, in base all’art.15 del TUEL di cui al D.Lgs 267/2000, il comune incorporante conserva la propria personalità e succede in tutti i rapporti giuridici al comune incorporato. Gli organi di quest’ultimo decadono alla durata di entrata in vigore della legge regionale di incorporazione. Si prevedono incentivi per il superamento dei piccoli comuni, in quanto ciò comporta un risparmio di costi (riduzione del numero di sindaci, assessori, consiglieri comunali), a fronte di trasferimenti monetari dallo Stato centrale alla città metropolitana.

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