L’”economia dei sussidi”, la scommessa di Biden e la miopia europea

di Guglielmo Forges Davanzati

 L’amministrazione Biden ha stanziato circa 700 miliardi di dollari per il sostegno all’industria americana. Si tratta del combinato dell’ormai celebre Inflation reduction act e di due altri provvedimenti dell’amministrazione Biden, pressata dal trumpismo e in linea con quest’ultimo nel sancire misure per l’”America first”: il Chips and Science Act, finalizzato a irrobustire la produzione interna di semiconduttori (evitando la dipendenza dall’Oriente e da Taiwan, in particolare) e l’iniziativa per l’ammodernamento delle infrastrutture del Paese. E’ uno degli impegni finanziari più ingenti nella Storia recente di quel Paese, con effetti importanti per i suoi principali partner commerciali, a cominciare dall’Unione Europea. Quella di Biden è una decisione che amplifica la tendenza del capitalismo post-pandemia a produrre due esiti, di grande rilievo per comprendere le più recenti trasformazioni del capitalismo occidentale: 1) un’economia dei sussidi: il mercato non è più in grado di selezionare gli operatori e i settori più efficienti e la posizione di pressione di molte imprese fa sì che i Governi debbano intervenire per aiutare imprese in difficoltà. Si tratta del ritorno alle politiche industriali 2) un’economia protezionistica, basata, al momento, sul protezionismo occulto, fatto, cioè, di erogazioni monetarie a imprese nazionali finalizzate anche a farle rientrare in patria. La ratio dei provvedimenti USA sta precisamente in quest’ultima convinzione, associata alla tesi – corretta – per la quale le economie anglosassoni si stanno deindustrializzando e questa è una delle principali cause (insieme alla caduta della domanda aggregata su scala OCSE) del rallentamento del tasso di crescita della produttività del lavoro. Si reagisce, in questo contesto, provando a irrobustire la base industriale proteggendola dalla concorrenza internazionale.

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