Xylella

La prima immagine, quella del paesaggio della memoria,  è il retroterra – l’ arrière–pays, direbbe un poeta come Yves Bonnefoy – che è di là dal visibile, e convoca nel suo apparire un tempo altro, affettivo e grato, il tempo di un’infanzia salentina abitata dalla presenza sacra dei grandi ulivi, dalla loro maestà. Solenne, protettiva. Alla loro ombra le prime letture, i primi trasognati svagamenti, sul ritmo eguale, tremulo, delle cicale, tra i voli improvvisi delle gazze e il loro gracchiante richiamarsi. Ma anche le prime osservazioni, da vicino, della fatica contadina: immagini di un lavoro assiduo, che intorno all’ulivo, di stagione in stagione, misurava interventi e cure, dalla potatura alla raccolta. L’ulivo, figura centrale  di una civiltà mediterranea. L’olio, elemento vitale di un’economia, di una cultura, di una tradizione.  

La seconda immagine è il paesaggio attuale. Che appare, a chi si trovi a transitare per le strade a piedi o in auto, come il resto di una catastrofe sulle cui rovine è passato un tempo vuoto di interventi, di premure. Figura esemplare dell’abbandono. Della devastazione.

Chi non ha nel ricordo le immagini del prima, lussureggiante e luminoso, si trova dinanzi a immensi campi su cui si è abbattuto  un biblico flagello: resti di un’apocalisse già consumata.

Chi invece ha vissuto nel Salento o nel Salento ci è tornato via via lungo gli anni, come è il mio caso, ricorda, in particolare, alcuni paesaggi di ulivi particolarmente solenni. Lungo la strada che da Copertino va verso la costa di sant’Isidoro, si distendeva un’ ininterrotta selva di ulivi, foltissima: una riga d’asfalto tagliava quel mare verde e argento, finché non compariva la striscia blu dell’altro mare. Così, dall’altra parte del paese, sulla strada che porta a San Donato, nell’ultimo tratto, si affacciavano grandi tronchi, nodosissimi, di ulivi secolari. Se andavi da Martano verso Otranto, o percorrevi la piana che annuncia la costa di Ugento, i campi di ulivi scortavano il cammino. E lungo le vie che portano verso Melendugno e intorno a Strudà, potevano mostrarsi, nella loro vetusta ricchezza di chiome, perfino ulivi millenari, ognuno ei quali, si diceva, poteva produrre fino a un quintale di olio.

Paesaggi perduti. Inarrestabile, a partire dal 2015, penetrando nei vasi linfatici delle piante, moltiplicandosi, la Xylella fastidiosa nell’arco di pochi anni ha disseccato chiome, macerato rami, incenerito fogliami. Con il ritmo di venticinque chilometri ogni anno ha compiuto la sua metodica strage. L’assenza di immediati interventi, il rinvio di un piano che da subito limitasse il danno, ha distrutto, senza incontrare alcuna resistenza, le varietà di olive come l’ogliarola e la cellina, che erano diffusissime nella provincia di Lecce. Lasciati soli, privi di certezze intorno ai rimedi, privi di tutela e di progetti definiti politicamente e di cure approvate e proposte,  i coltivatori hanno tentato ripari provvisori, casuali, sperimentali. Quasi inascoltata la scienza. C’è chi ha potato  innestando sul tronco altre varietà resistenti, chi ha tagliato chioma e rami lasciando crescere i nuovi polloni intorno al tronco,  chi ha bruciato le piante infette, chi ha spiantato attingendo a qualche provvidenza governativa (o aspettandola), chi è rimasto nell’attesa di qualche intervento pianificato, puntuale, credibile. Vanificata, nel frattempo, una storia, una cultura, un’economia.  Inattuato, anzi clamorosamente e ripetutamente vilipeso l’articolo 9 della Costituzione, che era stato definito nell’Assemblea Costituente attraverso gli interventi di Tristano Codignola e di Emilio Lussu, a loro volta ispirati a una legge proposta da Benedetto Croce nel 1922, poco prima dell’avvento del fascismo : “La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Quel paesaggio di cui dice la Costituzione è  il visibile della natura che la presenza dell’uomo, la sua storia, la sua cultura, hanno accolto, ridefinito, curato, protetto lungo il tempo.  Nel caso degli ulivi salentini il paesaggio ha in sé anche la storia di una cultura, di un sapere: compendio di vite.

Sulle responsabilità politiche di un disastro lasciato indisturbato nel suo espandersi bisognerebbe a lungo interrogarsi.  

Percorrendo le strade del Salento, e andando lungo le coste, si ascolta la voce del mare. Quella voce oggi è un compianto per la morte degli ulivi.

[“La Repubblica – Bari” del 5 gennaio 2023]

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