La penna, il computer e la sostanza della scrittura

Poi c’è chi si può permettere il privilegio di copiare se stesso. 

Probabilmente non è più il tempo di dire quello che sto dicendo. L’uso di carta e penna è ormai una storia antica.

Ora scriviamo tutti con una tastiera. Bambini, giovani, adulti. Tutti. La penna è diventata uno di quegli oggetti senza scopo. Stiamo perdendo – o abbiamo già perso?- la capacità di scrivere con una biro. Lo spazio della scrittura è diventato lo schermo.  Però pare che ci sia  qualche problema. Soprattutto per i bambini. Perché l’abilità della scrittura con la penna incide su molte altre abilità e sui processi del pensiero.

La scrittura che intende essere autentica esprime – ancora – la necessità di una relazione fra il corpo e la parola. Ci sono quelli che non solo ora che scrivono al computer ma anche quando usavano la gloriosa Olivetti,  non solo quando tentano l’opera di narrativa ma anche quando stendono un pezzo per il giornale, quando predispongono i materiali per il compito in classe da fare domani,  hanno bisogno di leggere sulla carta le righe che scrivono, di fare gli interventi con la biro. Forse la spiegazione è più semplice di quanto possa sembrare. Forse basta soltanto considerare che  fra la mano, la penna, il foglio, c’è un contatto diretto tra il sangue che scorre nelle vene della mano con quello che scorre – o dovrebbe scorrere – dentro le parole.

Che la scrittura si conformi all’ evoluzione e alle  trasformazioni della civiltà è un fatto naturale e culturale. Abbiamo scritto sulle pareti delle grotte, sulla pietra, sul legno e sull’argilla, sulla cera, sulla carta di papiro, sulla pergamena; abbiamo scritto con il guano, con lo stilo, con le penne d’oca, con i pennini d’acciaio, con la stilografica. Ora scriviamo con una tastiera. Ma probabilmente si verificano circostanze in cui la scrittura autentica pretende una condizione di intimità, una relazione attiva e generativa con il linguaggio, con il suono di una parola, di una sola sillaba, pretende una corrispondenza di sensi, uno scambio di sensazioni, un’esperienza di compenetrazione; forse anche un’esperienza d’amore.

E’ in quelle circostanze che si verifica la sovrapposizione fra l’umanità di colui che scrive e l’umanità della scrittura che egli compone, che lo scrittore (l’io scrivente) e la scrittura estromettono qualsiasi mediazione per riconquistare il gesto  primitivo, assoluto, essenziale del cavernicolo che racconta le sue storie scrivendo segni sulle pareti della spelonca   soltanto con le mani sporche di guano. E’ nelle circostanze in cui la scrittura appartiene esclusivamente all’umano.     

Se la scrittura è anche una rappresentazione della persona e della personalità,  diventa inevitabile chiedersi quanto le forme di scrittura di questi tempi riescano ancora a realizzare questa funzione.

E’ una questione su cui si dovrebbe approfonditamente riflettere, evitando gli schieramenti contrapposti di apocalittici e integrati, perché investe gli sviluppi culturali di una civiltà.

La scrittura appartiene all’uomo: alla sua espressione, alla sua intimità, alla ragione, all’emozione, tanto alla superficie quanto alla profondità del suo essere. La storia è passata attraverso la scrittura perché essa ha assunto la funzione essenziale di testimonianza anche della vita quotidiana, delle piccole storie individuali che tessendosi hanno fatto la grande Storia collettiva.

Il computer ha cambiato radicalmente il  rapporto con la scrittura e, prima ancora, con il pensiero della scrittura. Cambiano i tempi di riflessione, di elaborazione del concetto, di maturazione della parola. Cambia il sapore di quella parola. Manca il filamento dell’inchiostro, la macchia che si spande, la sbavatura.  Ma  soprattutto sullo schermo manca  l’ombra della mano  che segue le parole che scorrono, quasi per riprenderle, per  riportarle indietro, dentro il pensiero: quell’ombra che forse è  prolungamento di una inconscia gelosia amorosa per le parole che si scrivono. Ma nel tempo che viviamo tutto questo risulta improbabile, anacronistico, superato.   

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 22 gennaio 2023]

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