Zeus ha fatto il miracolo

La loro presenza nei Comuni del Salento costituisce di fatto quel presidio sul nostro patrimonio culturale che nessuna cieca struttura burocratica potrà mai garantire. Sono loro che intervengono a segnalare lavori che intaccano tessuti archeologici delicatissimi, che sono in grado di compiere interventi di emergenza e di recupero, che possono operare in Laboratorio per ricomporre e consolidare oggetti, che scavano i reperti antropologici e ne ricavano tutte le informazioni sul popolamento del passato. Sono decine di giovani che praticano il “mestiere dell’archeologo”, anzi “i mestieri dell’archeologia” che oggi vanno dalla conoscenza storica sino alle tecnologie più raffinate di elaborazione informatica e di diagnostica dei reperti. Non stanno fermi, viaggiano in tutto il Mediterraneo per confrontare le diverse realtà: sul Mar Nero in Crimea a studiare la presenza dell’Impero bizantino e la divisione agraria delle colonie greche, a Malta alle prese con gli altari del santuario cartaginese di Tanit, nel teatro di Segesta, a Hierapolis, Mersin, e potrei continuare. Una grande risorsa del Salento, di cui bisogna avere maggiore cura e consapevolezza, offrendo loro le opportunità di sviluppare la loro creatività indispensabile allo sviluppo della nostra regione. Quello che si aspettano è un grande programma di valorizzazione dei nostri beni archeologici, con la creazione di Parchi come quelli in corso di realizzazione a Cavallino ed a Vaste, di una rete di Musei e di Centri di Documentazione, di laboratori di diagnostica e di restauro diffusi nel territorio, di progetti che facciano emergere il valore sociale della conoscenza del passato, come il Festival di Archeologia dei ragazzi che quest’anno non ha potuto far fronte a tutte le richieste di partecipazione. Come nella Mostra di Ugento Università, Amministrazioni regionali e Ministero dei Beni Culturali dovranno essere capaci di mettersi insieme e offrire una strategia di sviluppo culturale ai giovani che si formano nel nostro Ateneo.

Zeus nella lingua dei Messapi

 “Klaohi Zis”: è un’espressione dell’antica lingua messapica, presente in numerose iscrizioni, databili in prevalenza intorno al V-IV sec. a.C. I glottologi la traducono con l’invocazione “ascolta Zeus”, riferendola al latino “Audi Juppiter”. Si è voluta usare questa espresiione in una lingua ancora misteriosa per dare il titolo alla Mostra dedicata alla statua di bronzo di Zeus rinvenuta diversi anni fa ad Ugento. Il suono evoca il mondo arcaico eppure riconoscibile dei Messapi, popolo insediato nel Salento antico, che si chiamava appunto Messapia, cioè la terra di mezzo, posta tra i due mari. Prima della conquista romana, nel III sec. a.C. i Messapi avevano sviluppato una cultura molto dinamica, aperta ai contatti con altre genti, avevano costruito grandi città, munite di mura lunghe chilometri, che ancora segnano, dopo tanti secoli, il paesaggio e le città salentine. Avevano posto i simboli della loro religione in particolari punti del territorio. La mostra vuole ricostruire i contesti archeologici e gli spazi rituali in cui fu venerata la statua di Zeus con i metodi di indagine e gli strumenti di comunicazione che offre oggi l’archeologia. E, sempre a proposito del mito di Zeus in terra messapica, c’è un singolarissimo e affascinante collegamento con una trozzella che si trova nel museo di Copenaghen, la cui foto è inserita nel catalogo e raffigura una bellissima immagine di Zeus Fulminatore, la stessa del bronzo di Ugento. La statua di Ugento è di fattura greca, mentre la trozzella “danese” è di provenienza messapica, quindi raffigura proprio lo Zeus visto direttamente dagli occhi dei messapi, in altri termini l’autentico Zis.

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