Antonio Resta, L’amore imperfetto. La musica per sedare le dissonanze della vita

Nel secondo racconto si dà quasi una spiegazione didascalica di quanto avviene nel primo. Il duo diventa trio, il terzo “incomodo” lo si esplicita: è la musica, sono i libri, è la scrittura, coltivati per essere, non per apparire: gli altri sono fuori. Lui opera senza esibire. Soprattutto la musica, che per lei è un “rompimento”, per lui è “brillante luminosità”, l’“Epilogo perfetto per un trio che è tutto percorso da un senso di certezza, instabilità, mutamento, labilità. Quasi a significare la fragile complessità della vita”.

Michele è pago della sua solitudine. La musica sembra colmargli lo spazio esistenziale e consentirgli una lettura della vita: “Quello che voglio dire è che è un gioco ardito e raffinato di corrispondenze e contrappunti, di tensioni tra infrazione e norma; un gioco che finisce col comporsi in un’opera di straordinaria tenuta, geometrica e unitaria, che si accampa come schermo dinanzi alle dissonanze della vita”.

Resta sembra voglia recuperare una dimensione direi a-freudiana, dell’amore e del sesso, come di complementarietà, di qualcosa da dominare. In un momento in cui si assiste all’esplosione di ogni forma di sessualità, quale la nostra epoca è, come se il sesso fosse l’alfa e l’omega dell’individuo – non bisogna mai prescindere dal contesto in cui le opere nascono – le bellissime pagine, lievi ed eleganti, di questo “amore imperfetto”, conciliano il lettore con certa letteratura, non più tormento dell’anima ma ricomposizione in equilibrio di natura.

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