La lanterna di Diogene e la lampada di Aladino. Filosofie film narrazioni 2. Don Giovanni: l’eros e la seduzione. Tra filosofia e arti

C’è, invero, il pericolo dell’ovvietà se non della banalità: il nesso Eros/vita e Thanatos/morte sembra una facile via ai luoghi comuni: “Corpo, amore, morte. Il poeta Novalis diceva che sono la stessa cosa: non è forse vero? Il corpo è voluttà e malattia, piacere e degradazione: la passione erotica vive e muore nel corpo… e l’amore diventa una grande avventura attraverso il male”[14]. Ma, poco prima, la stessa protagonista del romanzo aveva detto con forte autoironia: “North, lei mi costringe ad essere romantica”. Una romanticheria costruita, su cui l’autore indugia, sapendo già che non costituisce la sostanza della scrittura che, al contrario, ha indiscutibile valenza filosofica. Una romanticheria che parrebbe echeggiare il Gozzano di un secolo fa: “ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono/ sentimentale giovine romantico…// Quello che fingo d’esser e non sono”[15]

È, però, ancora filosofia: ed è il binomio di ragione e passione o ragioni del cuore, stavolta viste come ciò che l’Occidente deve prendere dalla cultura indiana. È questo, sicuramente, il filo teoretico nascosto del romanzo-filosofico. E non è un caso se Zecchi dedicò il saggio apparso su Estetica 1994 proprio a Eros e decadenza nell’estetica di Schopenhauer. Schopenhauer è colui che ha introdotto la filosofia orientale nel nostro sistema teoretico, è chi, dopo Pascal, ma contemporaneamente all’egemonia hegeliana, ha indicato l’altra via del romanticismo: la via del sentimento, del vissuto, dell’unità con la natura, dell’intuizione corporea. Scrive Zecchi romanziere: “Questo è ciò che l’India può insegnare all’Occidente: il primo e ultimo dovere è il compimento di sé, che è gioia, danza, estasi”[16].

Poi, cosa è l’eros e che rapporto è tra eros e sensualità, che evidentemente non sono sinonimi? Una linea di lettura, ma molto indiretta, può essere quella indicata da Perniola, sempre nella citata raccolta Estetica. Perniola richiamava l’inorganico come fonte di eros[17] ma aggiungeva che quello che interessa è la trasformazione dell’eros sessuale in eros inorganico, in sublimazione estetica. Da ciò anche il richiamo, pertinente, alla poesia barocca.

Questo, forse, è il vero nodo che Zecchi cerca di sciogliere. Qui siamo, giustamente secondo l’alternativa orientale, nella prospettiva del sacro e del mistero: “Conosceva bene l’arte sofisticata di analizzare, sezionare le proprie sensazioni con quella morbosa e lucida ostinazione che pretende di rendere tutto comprensibile e lecito, violando anche l’ultimo mistero rimasto intatto, quello del sesso”[18].

Pare che, rispetto alla sessualità, intesa come “natura”, la sensualità sia cultura e ne sia l’elaborazione, la distanza creata dalle singole culture antropologiche. In ogni cultura essa assume lessici e nomenclature diversi. Ogni area umana ha i propri codici, tanto per la sessualità che per la sensualità. Per Kierkegaard, mentre la sessualità è fatto organico e di per sé è non buona né cattiva, la sensualità, come principio a sé, è introdotta dal peccato e, quindi, dalla nozione di possibilità, di libertà, come spazio che l’uomo deve riempire tra sé e la scelta, tra sé e la comunicazione. L’eros diviene, così, il chiasma indefinibile tra sessualità e sensualità, cioè tra organico e inorganico, tra immediatezza e mediazione.

Anche, in questo intarsio di citazioni, con alcuni pezzi “abusivi” perché introdotti forzosamente dalla nostra memoria letteraria, emerge un altro accostamento. L’adorazione senza possesso, l’amore come spazio in cui i soggetti salvaguardano la reciproca trascendenza, sono alcuni dei concetti più significativi di Luce Irigaray, la teorica del pensiero della differenza sessuale. Non a caso è lei l’autrice di Amo a te, testo già significativo nel titolo e che parla del rapporto amoroso come in-transitivo, inoggettivante e di reciproca trascendenza dei due amanti. Un passaggio del libro di Zecchi pare adattarsi proprio a quell’orizzonte teorico:

Se non provi un desiderio erotico, l’amore è amicizia, simpatia. Non lo ammetti perché, quando si è amanti, si è disposti ad accettare l’ineguaglianza e la differenza. Hai dedicato la tua vita per sostenere il contrario -, esclamò Giulia. – Con quale risultato? Sei stimata, ammiro la tua coerenza, ma non ti invidio: sei sola. Nell’amicizia c’è equilibrio tra le parti, nell’amore mai[19].

L’amore come squilibrio, l’amore come rispetto dell’alterità e dono all’Altro che si sostanzia nel linguaggio parlato o gestuale – pensiamo alle riflessioni di Lévinas sulla carezza – rispetto ad un Altro che rimane comunque lontano, sono delle ipotesi di lettura suggestive ma improbabili. Anzi, il romanzo di cui stiamo parlando, proprio perché è immersione totale in luoghi ideali segnati dalla cultura orientale, conduce alla fine ad una forma che il pensiero della differenza respinge ed è la fusionalità, l’immedesimazione, quindi l’annullamento delle differenze[20]. E questo è importante non solo nel rapporto tra i soggetti, ma soprattutto tra il soggetto e la natura. Anche la morte, la perdita, la lontananza, così come la relatività della bellezza sono vissute in questo rapporto di sensualità, quindi nella relatività rispetto ad assoluti. Nella memoria rimane fisso, inalienabile il ricordo della sensualità colorata, come i quadri di Gustav Klimt e di Frida Kahlo.

2. Veniamo ora all’icona universale della sensualità maschile e della seduzione: Don Giovanni. Il penultimo capitolo di Sensualità si concludeva con una affermazione netta e con una domanda che faceva lievitare l’ambiguità: “Tutto ciò che nella vita ha importanza si decide in un istante. ‘Sarà capace di ritornare?'”[21]. L’istante come certezza e il ritorno come invocazione. Il ritorno come ciò che estingue la nostra fame e sete di sicurezza, in un mondo occidentale nel quale la sensualità di Don Giovanni necessariamente giunge alla disperazione e alla morte come evento innaturale.

Ma prototipo della seduzione è solo Don Giovanni? Baudrillard parla non del seduttore, ma della seduttrice, ed in particolare della diva cinematografica:

Se la caratteristica della donna seduttrice è farsi apparenza per gettare lo scompiglio nelle apparenze, cosa si può dire dell’altra figura, quella del seduttore? Anche lui si pone come effetto illusionistico per gettare lo scompiglio, ma, curiosamente, questo effetto illusionistico assume la forma del calcolo e la parure qui lascia il posto alla strategia. Ma se nella donna la parure è evidentemente strategia, la strategia del seduttore non è forse, inversamente, una parata di calcolo attraverso cui si difende da qualche potenza avversa? […] Il seduttore non finisce, forse, per perdersi lui stesso nella sua strategia, come in un labirinto passionale? Non la inventa, forse, proprio per perdersi? E lui, che crede di essere padrone del gioco, non è forse la prima vittima del mito tragico della seduzione?[22]

Anche Kierkegaard ha parlato della seduzione, che coincide con lo stadio estetico della vita, in L’erotico nella musica,dove esamina il Don Giovanni di Mozart, e ne Il diario del seduttore, protagonisti Giovanni e Cordelia. Ancora una volta il seduttore si chiama Giovanni: ironie e “ripetizioni” della storia.

Sempre Baudrillard congiunge seduttrice e seduttore e parla dell’ossessione della giovane fanciulla per il seduttore di Kierkegaard. Pertanto l’ossessione di uno stadio inviolato, non ancora sessuato, come quello della grazia e del fascino, fa sì che la donna, come Dio, detenga un privilegio ineguagliabile, “diventa, quindi, la posta feroce di una sfida e deve essere distrutta perché è lei che per natura è dotata di ogni seduzione”. Allora la vocazione del seduttore è lo sterminio del potere naturale della donna: “La destinazione del seduttore, la sua volontà, la sua strategia sono una risposta tesa a esorcizzare la predestinazione graziosa e seduttrice della fanciulla, tanto più potente quanto più inconscia”[23]. Questo è il compito di difesa-offesa-sterminio di Don Giovanni.

Ma come nasce l’icona di Don Giovanni? Umberto Curi ne fa la storia tornando alla cultura classica e ad Aristotele che commenta un mito:

L’esempio addotto da Aristotele, apparentemente stravagante, è quello che si rifà ad un tragedia perduta, nella quale il protagonista, responsabile dell’omicidio del re Miti, viene a sua volta ucciso dalla statua del sovrano che gli rovina addosso. Ma, in tema di racconti che dovrebbero apparire scarsamente credibili, e che invece risultano plausibili ed emotivamente coinvolgenti, basterebbe pensare al mito di Don Giovanni (che, tra l’altro, discende direttamente proprio  dall’episodio tragico assunto a modello da Aristotele), nel quale quelle che potrebbero sembrare incongruenze, sono in realtà superate da una concatenazione dei fatti talmente verosimile, da concellare ogni possibile refrattarietà emotiva nello spettatore. Il quale (come ebbe invidiosamente a lamentarsi Carlo Goldoni), proprio per la “buona costituzione” del racconto, e per la verosimile o necessaria consequenzialità degli eventi, finisce per prendere per buone quelle che dovrebbero apparire come inaccettabili improprietà, come “una statua di marmo eretta in pochi momenti, che parla, che cammina, che va a cena, che a cena invita, che minaccia, che si vendica, che fa prodigi”[24].

Ma, a parte le polemiche tra filosofi e letterati, il personaggio di don Giovanni è datato 1618, e nasce grazie al frate Tirso de Molina che riprese storie folkloristiche spagnole e partenopee. La nascita del “mito eterno” prende vita con l’opera El burlador de Sevilla y Convidado de piedra. Questo testo teatrale viene messo in scena per la prima volta nel 1625 a Madrid da Pedro Osor e appare il nome di don Juan Tenorio che poi rimarrà come nome permanente del personaggio. Molìere ne tratta ne Il convitato di pietra, comico (1665) e qui Don Giovanni muore precipitando nell’inferno. Byron scrisse un Don Juan incompiuto (1819), ma che fu considerato uno scritto autobiografico. Un episodio, comico e voluttuoso, termina con la gelosia della sultana, che minaccia Giovanni di morte, ma egli riesce a riparare tra i Russi che assediano Ismailia. In occasione di quest’assedio (c. VIII, stanza 132), Byron scrive uno dei suoi passi comici più noti, quando fa che donne anziane domandino con impazienza: “Perché non son cominciati gli stupri?”

Arriviamo al melodramma, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, opera commissionata a Mozart nel 1787. Nel carnevale di Venezia dello stesso anno, era stato rappresentato Il don Giovanni o sia il convitato di pietra, con musica di Francesco Gardi e Giuseppe Gazzaniga e con libretto di Giuseppe Bertati. A quest’opera si rifece il librettista Lorenzo Da Ponte a cui Mozart aveva dato l’incarico. Il 29 ottobre si ebbe la prima dell’opera mozartiana a Praga e l’ouverture era stata composta nella notte precedente. Tra il pubblico era forse presente Casanova che viveva nei dintorni di Praga.

Qui interessano le riflessioni di Kierkegaard su l’erotico e la musica scaturite dalla conoscenza dell’opera mozartiana, da lui vivisezionata con acribia ed efficacia. L’avvio è a livello di teoria: per Kierkegaard l’idea più astratta che si possa pensare è la genialità sensuale che è una forza, una tempesta, una impazienza, una passione ecc., cioè qualcosa di assolutamente lirico. Essa non è in un momento, ma in una successione di momenti, perché se fosse in un momento la si potrebbe raffigurare o dipingere.

Don Giovanni non solo ha fortuna presso le ragazze, ma le rende felici ed infelici ed esse lo vogliono; sarebbe una fanciulla mediocre quella che non desiderasse diventare infelice, pur di essere stata una volta con Don Giovanni. Egli non è un seduttore psichico, come lo è Giovanni del Diario del seduttore. La seduzione più forte, per Kierkegaard, è quella psichica non quella sensuale, mentre l’amore di Don Giovanni non è psichico ma sensuale, e l’amore sensuale, secondo il concetto kierkegaardiano, non è fedele, ma assolutamente infedele. Quell’amante non ne ama una, ma tutte, cioè le seduce tutte. Il suo amore è solo nel momento, ma il momento, nel concetto, è considerato come una somma di momenti. Così si produce la figura del seduttore[25].

L’oggetto del desiderio di Don Giovanni non è la donna, ma la sensualità. Nel suo vissuto, ciò che seduce la donna è il desiderio, non Don Giovanni e, alla fine, Don Giovanni muore per le proprie colpe.

Se il discorso sullo stadio estetico Kierkegaard lo pose in Aut aut con lo pseudonimo di Victor Eremita, quello specifico sulla seduzione è però nelle due opere già citate: L’erotico nella musica Il diario del seduttore. Per Kierkegaard il Don Giovanni mozartiano è un’opera d’arte classica ed “è una fortuna che forse l’unico soggetto veramente musicale sia toccato proprio a Mozart”[26]. La classicità di un’opera è data dalla concordanza di materia e medium:

Quanto più è astratta e quindi povera l’idea, quanto più è astratto e quindi povero il medium, tanto maggiore è la probabilità che non si verifichi alcuna ripetizione,tanto maggiore è la probabilità che l’idea, quando ha trovato la sua espressione, l’abbia trovata una volta per sempre[27].

Se il medium è concreto quando si avvicina al linguaggio, la musica è il più astratto medium. E, tra l’altro, l’idea più astratta che si possa pensare è, per Kierkegaard, la genialità sensuale:

è una forza, una tempesta, una impazienza, una passione, ecc.; qualcosa di assolutamente lirico; eppure essa non è in un momento, ma in una successione di momenti, perché se fosse in un momento la si potrebbe raffigurare, dipingere[28].

Per il filosofo danese, la sensualità come principio entra con il cristianesimo, perché diviene il correlato autentico dello spirito, mentre nella cultura greca era una determinazione psichica che viveva in armonico accordo con il resto. La genialità erotico-sensuale deve essere espressa e rappresentata nella sua immediatezza, cioè, per Kierkegaard, senza mediazioni temporali o logiche. Espressa in modo mediato e riflesso, viene a cadere nel dominio del linguaggio e deve sottostare a determinazioni etiche. Nella sua immediatezza può venire espresso soltanto nella musica, poiché

l’idea del Don Giovanni è assai più astratta di quella che sta alla base della scultura. È facile comprendere che nella scultura si hanno parecchi capolavori, nella musica ve n’é soltanto uno. Nella musica vi possono essere certo molte altre opere classiche, ma c’è un’opera sola nella quale si può dire che la sua idea è assolutamente musicale, così che la musica non vi entra come accompagnamento, ma come manifestazione dell’idea, come manifestazione del suo essere più profondo. Perciò Mozart col suo Don Giovanni sta al di sopra di tutti gli immortali[29].

Per Kierkegaard esistono tre stadi erotici che sono tutti musicali, ma, più che stadi, sono metamorfosi dell’unico stadio che è l’ultimo[30]. Il primo stadio è rappresentato dal paggio delle Nozze di Figaro, Cherubino. In lui la sensualità “si sveglia ma non in movimento, bensì in tranquilla quiescenza, non come gioia e piacere bensì come profonda malinconia. Il desiderio non è ancora sveglio, è presentito malinconicamente. Nel desiderio compare l’oggetto desiderato quasi in una luce crepuscolare”[31]. È nostalgia; il desiderio non è capace di desiderare. C’è l’in-differenza perché il paggio ha voce femminile, è indistinto, androgino. Il secondo stadio è rappresentato da Papageno del Flauto magico, definito dal filosofo l’altra opera “seria” insieme al Don Giovanni. Nel Flauto solo quando compare l’oggetto compare il desiderio e solo quando compare il desiderio compare l’oggetto: sono realtà gemelle, ma il loro nascere è separato[32]. Il desiderio in Cherubino è sognante, in Papageno è cercante, in Don Giovanni è bramante: non vuole come moglie una donna fuori del comune: “quel che rende felice me l’ha ogni ragazza, e perciò me le prendo tutte”, “purché porti la gonnella voi sapete quel che fa”[33]. Quindi Papageno scopre, Don Giovanni gode, Leporello registra.

Kierkegaard, nella sua fenomenologia della seduzione e dell’eros, non manca di segnalare un errore nel Flauto magico: “l’amore coniugale può essere quello che vuole, in parole sacre o profane, ma non sarà mai musicale, anzi è assolutamente amusicale”[34]. Questo perché l’amore coniugale è una situazione etica e non estetica, richiede comportamenti conformi alla morale e non può librarsi sulle onde del sentire come è il desiderio del seduttore.

Ma qual è il rapporto tra il filosofo e l’immagine della donna? Niente deprezzamento del genere femminile né sottovalutazione del ruolo della donna: “benché io di solito ringrazio gli dei di essere un uomo e non una donna, la musica di Mozart mi ha insegnato che è bello, confortante e ricco amare come una donna”[35].

Naturalmente nell’opera mozartiana e nel testo di Da Ponte erano anche intenti leggeri e umoristici e Kierkegaard non può non sottolineare che il protagonista aggiunge con gaudio alla sua lista perfino le donnette di sessant’anni[36]. Ma il filosofo lascia anche una considerazione interessante commentando Leporello che, nella versione tedesca, dice a Donna Elvira che solo in Spagna vivono 1003 donne sedotte da Don Giovanni e afferma che lei è compresa nella lista. Kierkegaard sottolinea: “rielaborazione tedesca, stupida e senza gusto”[37], dove il “senza gusto” starebbe ad indicare la mancanza di discrezione e di rispetto per la persona.

Ma le istanze etiche, apparentemente sottaciute, emergono continuamente. Elvira e Zerlina sono pericolose per Don Giovanni perché, in quanto sedotte, sono innalzate alla sfera superiore della coscienza, che il protagonista non ha. Attuano, quindi, l’universale, cioè l’etica[38]. È chiaro la seduzione ha due fattori concorrenti: passività e attività. Se questa è del seduttore, la passività è della donna sedotta, usata e abbandonata, che ritrova la coscienza e la sensibilità etica. Parimenti Kierkegaard annota che Don Giovanni è l’espressione del demoniaco determinato come sensualità, Faust lo è del demoniaco determinato come quella spiritualità che lo spirito cristiano esclude da sé[39]. Il nostro seduttore non ha tempo, gode il soddisfacimento del desiderio e, dopo goduto, ne cerca un altro all’infinito, “lo vediamo sempre mentre va in caccia e dilegua, proprio come la musica, che è passata non appena il suono si estingue, e rinasce solamente col suono”[40].

Tra i personaggi è, comunque, passione che può essere di sim-patia o di anti-patia:

La passione nel singolo è concreta, ma concreta in se stessa, non concreta nella personalità o, per esprimersi con più chiarezza, il resto della personalità è assorbito da questa passione[41].

Quali passioni? La serietà del commendatore, l’ira di Elvira, l’odio di Anna, la superbia di Ottavio, il terrore di Zerlina, l’amarezza di Masetto, l’imbarazzo di Leporello derivano tutti dall’esistenza di Don Giovanni: tutti sono in relazione erotica con lui, scrive il nostro filosofo, anche Leporello[42].

L’analisi di Kierkegaard, però, non è solo tematica, ma anche tecnica. Non dimentichiamo che ha scritto che, quando era in scena l’opera, egli si allontanava, andava nel corridoio, in un angoletto da cui non vedeva, solo per ascoltare, perché la musica, per farsi comprendere, richiede una certa distanza. E, dal punto di vista del musicologo, egli ha elaborato note interessanti: il Commendatore è una eccezione, perché è messo al limite; se egli fosse messo in maggior rilievo l’opera cesserebbe di essere assolutamente musicale[43]; toglierebbe due pezzi perché sono da concerto (si tratta di quelli con Ottavio e Anna); l’ouverture deve essere composta per ultima (così era stato, ma non risulta che Kierkegaard lo sapesse)[44] e da sola basterebbe a fare un’opera classica, perché coglie il centro: era la profezia dell’opera e una rincorsa verso l’opera[45].

3. Lasciando la figura di Don Giovanni e passando ad una ipotesi di icona femminile della seduzione, ma solo nell’ambito del melodramma, potremmo parlare di Carmen, già definita nel libretto dell’opera di Bizet bohémienne. Ricordiamo che la Bohème di Puccini è del 1896. Ma non va sottovalutato che una icona del femminile seduttivo era rappresentato anche dal bovarysmo presente nel romanzo di Flaubert (1856), che affermava: “Madame Bovary c’est moi”. Non dimentichiamo che Sartre ha dedicato gli ultimi anni della sua vita ad una biografia di Flaubert, L’idiot de la famille, dove è presente una lettura psicoanalitica dell’autore di Madame Bovary[46]. Bovary è seduttrice di uomini, come Don Giovanni di donne. Ma la differenza è che Bovary è sempre infelice, triste, non a caso muore suicida, cosa che Don Giovanni non avrebbe mai fatto. Per quanto non sia escluso che una morte tragica, dovuta al tipo della sua esistenza, fosse per lui in preventivo.

Tornando a Carmen, la sigaraia di Siviglia, che beveva la vita: come Don Giovanni lei non aveva problemi morali. Bella l’immagine del film di Franco Rosi, del 1984, quando Carmen accartoccia i sigari stringendoli tra le gambe. Inutile ricordare che a questo mito femminile il cinema ha dedicato parecchi lavori. Ma il film, come dice Curi, è diverso dalla musica:

Parlare di un film vuol dire raccontarlo. Non è così per quanto riguarda le opere figurative o anche quelle musicali […]. Non che, ovviamente, il racconto di un film possa sostituirne la visione[47].

È chiaro che discorso diverso andrebbe fatto per il melodramma. Presa da una novella di Prosper Mérimée (1845), l’opera lirica di Bizet presenta una Carmen che, come Don Giovanni, è seduttrice. A lei interessa il “movimento” della seduzione non il possesso. Lungi da lei, come dall’icona maschile, ogni sensibilità etica. Qualcuno ha definito Carmen un mito moderno. Forse anche per motivi storico-culturali quel personaggio non poteva essere descritto in secoli precedenti: sarebbe stata definita strega, con quel che quella caratterizzazione produceva sulla vita della donna incriminata. Come nel Don Giovanni, anche qui la morte è sempre presente, latente, prevista. La conclusione è tragica e, per certi versi, non rassicurante e neanche “edificante” come nell’opera mozartiana.

Allora oggi chi è seduttore o, meglio, chi è seduttrice? Qual è la mediazione estetica: il romanzo, il melodramma…? Per Baudrillard sono il cinema e la star cinematografica:

L’esempio più bello si può trovare senza dubbio nella sola grande costellazione collettiva di seduzione che sia stata prodotta nei tempi moderni: le star e gli idoli del cinema. Uomo o donna che sia, la star è femminile, poiché, se Dio è maschile, l’idolo è sempre femminile. Qui le donne sono state le più grandi. Su di loro, non più creature di desiderio di desiderio né in carne e ossa, ma transessuali, sovra sensuali, ha potuto cristallizzarsi quest’orgia di futilità e questo rituale severo che ha creato una generazione di mostri sacri dotati di una potenza di assorbimento rivali e pari alle potenze di produzione del mondo reale[48].

In fin dei conti, rispetto a Don Giovanni, Carmen – in letteratura, nella lirica o sullo schermo cinematografico – è la seduttrice che, come abbiamo già detto, per la sfera erotica ha messo in conto anche la morte, mentre per Don Juan la morte pare rientrare casualmente, ma non necessariamente,  nella recita della vita. L’amore per Carmen fugge se è inseguito, si presenta quando è lontano dal desiderio. A Don Giovanni basta il desiderio. Per esemplificare questa tipologia di seduzione problematica, non giocosa e non gioiosa come nel Don Giovanni, ecco alcuni notissimi brani dal libretto dell’opera, scritto da Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Ai giovani che entrano con Carmen e le chiedono quando li amerà, lei risponde, guardandoli con gaiezza:

Quand je vous aimerai? Ma foi, je ne sais pas..

Peut-être jamais!.. peut-être demain!..

[résolument]Mais pas aujourd’hui… c’est certain.

E l’imprevedibilità dell’amore è definita nel celeberrimo brano Havanaise:

L’amour est un oiseau rebelle

que nul ne peut apprivoiser,

et c’est bien en vain qu’on l’appelle,

s’il lui convient de refuser!

Rien n’y fait, menace ou prière,

l’un parle bien, l’autre se tait;

et c’est l’autre que je préfère,

il n’a rien dit, mais il me plaît.

E poi la definizione del fanciullo di Boemia, data da Carmen :

L’amour est enfant de Bohême,

il n’a jamais, jamais connu de loi,

si tu ne m’aimes pas, je t’aime,

si je t’aime, prends garde à toi!

Carmen non ha trovato il suo Kierkegaard che ne esplicitasse le eventuali cadenze teoretiche. Ma Da Ponte e Mozart operavano in pieno clima illuministico, di rivoluzioni culturali e, quindi, anche in contesti dalla forte problematica etica. Il romanticismo di Bizet e dei suoi autori lascia fuori ogni interrogativo morale e vede il seduttore e la seduttrice come figure nutrite di passione, di un patire che qualcuno ha definito tragico e non melodrammatico, se non per il genere musicale. È chiaro che siamo in quell’ambito romantico che comporta una rivoluzione culturale. I singoli sono entità parcellari, autonome che costruiscono una loro etica o demistificano l’etica imperante.

Ambedue le figure, quindi, apparentemente così vicine, ma sostanzialmente abbastanza lontane, si inquadrano in una cultura molto più laica o, se si vuole, in una cultura nella quale il “sentire” è guida al volere. E la spazio decisionale, con annessa libertà di scelta, è apparentemente invisibile. La dimensione estetica, in senso etimologico, è totalizzante.

Ma per la seduzione c’è futuro? Concludiamo con Baudrillard:

Seduzione e femminilità sono ineluttabili come il rovescio stesso del sesso, del senso, del potere. Oggi l’esorcismo si fa più violento, più sistematico. Entriamo nell’era delle soluzioni finali […]; microprocessione del desiderio, di cui la donna, produttrice di se stessa come donna e come sesso, è l’ultima incarnazione. Fine della seduzione. Oppure, trionfo della seduzione molle, femminilizzazione erotizzazione bianca e diffusa di tutti i rapporti, in un universo sociale ormai esaurito. Oppure, ancora, niente di tutto questo. Nessuna cosa, infatti, potrebbe essere più grande della seduzione stessa, neanche l’ordine che la distrugge[49].

Fareun consuntivo dei trent’anni che sono passati dallo scritto del filosofo francese è molto difficile, perché la trasformazione culturale è permanentemente in itinere. Ma non pare essere scomparso il “movimento” e la “figura” della seduzione: forse si sono generalizzati, istituzionalizzati, talvolta laicizzati e involgariti. E rientrano sempre di più, al di là delle intenzioni, nella fenomenologia della cattura dell’altro.

I filosofi hanno ancora materia per interrogarsi: ma con quale risultato?

—————————————————————-

Note

[11] Cfr. De la séduction, Galilée, Paris 1979; trad. it. Della seduzione, a c. di P. Lalli, Cappelli, Bologna 1980. Noi citeremo dall’edizione italiana.

[12] S. ZecchiSensualità, Milano, Mondadori 1995.

[13] “Questo volume di Estetica 1994 si interroga sulla natura dell’erotico e sul modo in cui apprendiamo ‘un’ significato dell’eros e della sessualità”, Estetica 1994. Scritture dell’eros, a c. di S. Zecchi, Il Mulino, Bologna 1995, p. 7.

[14] Sensualità, cit., p. 118.

[15] G. Gozzano, La signorina Felicita ovvero La Felicità, in I colloqui, vv. 432-435.

[16] Sensualità, cit., p. 104.

[17] M. Perniola, Sessualità inorganica e sentire astrale, in Estetica 1994, cit., pp. 69-80.

[18] Sensualità, cit., p. 124.

[19]Ivi, p. 53.

[20] Cfr. di L. Irigaray, Amo a te. Verso una felicità nella Storia, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 1993. Ci permettiamo di rinviare al ns. Persone e soggetti nella radicalità della differenza, in Esistenza/estetica. Temi e figure del pensiero contemporaneo, Capone, Cavallino di Lecce,  1994,pp63-78.

[21] Sensualità, cit., p. 148.

[22] Della seduzione, cit., pp. 135-136.

[23] Ivi, pp. 136-137.

[24] U. Curi, L’immagine-pensiero. Tra Fellini, Wilder e Wenders: un viaggio filosofico, Mimesis, Milano 2009, p. 25.

[25] Cfr. S. Kierkegaard, Don Giovanni. La musica di Mozart e l’eros, trad.. di R. Cantoni e K. M. Guldbrandsen, Mondadori, Milano 2003, p. 104.

[26] Ivi, p. 47

[27] Ivi, p. 55.

[28] Ivi, p. 57.

[29] Ivi, p. 58.

[30] Ivi, p. 77.

[31] Ivi, p. 81.

[32] Ivi, p. 86.

[33] Ivi, p. 107.

[34] Ivi, p. 89.

[35] Ivi, p. 140

[36] Cfr. Ivi, p. 84.

[37] Ivi, 144.

[38] Cfr. Ivi, p. 107.

[39] Cfr. Ivi 100.

[40] Ivi, p. 112.

[41] Ivi, p. 135.

[42] Cfr. Ivi, p. 130.

[43] Cfr. Ivi, p. 135.

[44] Cfr. Ivi, 137.

[45] Cfr. Ivi, p. 139.

[46] L’idiot de la famille apparve, nei primi due volumi, con Gallimard nel 1971 (2136 pagine); nel 1972 fu pubblicato, sempre da Gallimard, il terzo volume. Sartre annunziò in seguito che ne stava preparando un quarto. Una parte, col titolo Notes sur Madame Bovary, è stata pubblicata, a cura di Arlette Elkaïm-Sartre, nella nuova edizione francese dell’opera, uscita nel 1998. In italiano esiste una traduzione incompleta a cura di C. Pavolini, del Saggiatore (1977). Su tutto questo, cfr. Soggettivazione e destino. Saggi intorno al Flaubert di Sartre, a c. di G. Farina e R. Kirchmayr, Bruno Mondadori, Milano 2009. Questo volume contiene anche, in appendice, l’inedito tradotto Note per il quarto volume de L’Idiot de la famille.

[47] U. Curi, op. cit., p. 31.

[48] Della seduzione, cit, p. 132.

[49] Ivi, pp. 8-9.

Questa voce è stata pubblicata in Filosofia, La lanterna di Diogene e la lampada di Aladino. Filosofie film narrazioni di Giovanni Invitto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *