La poesia. Questi soliti olivi… di Vittorio Pagano

Questi soliti olivi…di Vittorio Pagano (1919-1979) è una poesia compresa nel primo dei quattro libretti, Mitologia del Sud, che compongono la raccolta Privilegi del povero (1960). Letta oggi, fa pensare ad altro, ha quasi valore di sinistro presagio. Qui il poeta lo mettiamo da parte. I soliti olivi semplicemente non sono più i soliti olivi, anzi non ci sono più gli olivi, cancellati dalla xylella, e con essi il loro suggestivo paesaggio. Anche le parole sono evocative: pena del sangue, devastazione, cenere e miseria. Domina in assoluto un certo simbolismo profetico, che, del tutto inconsapevole al poeta, sembra premonitore dello stato in cui oggi versano gli olivi xylelliani, stecchiti, sfregiati, arsi. I primi tre versi sembrano il dettato di una sentenza: cenere. E profetizzano quasi una vendetta nella mitica lotta per la sopravvivenza: agricoltori (olivi), pastori (pascoli): la terra estorcono ai contesi pascoli. Oggi gli olivi sono stati annientati a loro volta dal nefasto verme. Che forse sarebbe piaciuto al poeta, non estraneo al gusto dialettico e maudit. Quel che ne sortisce è l’opposto di un Sud ben lontano dal suo mito. Non ci sono Bandiere / di luce lente [che] oscillano nel cielo…nella pianura [che] s’obliqua e si frastaglia. Quell’ondeggiare di verde nel Salento dei “soliti olivi” è un ricordo. Anche la mitologia è ammazzata da quella forza che il Foscolo individuava nel tempo, che tutto traveste di moto in moto. Di quella mitologia non ci sono più gli opposti in lotta, diversamente eliminati dal male (inquinamenti, xylella, cambiamenti climatici) e dal bene (progresso, tecnologie) dei tempi d’oggi, ma che al Pagano sembravano non dover mai finire. Erano per lui la fissità eterna di un destino immutabile. Quasi fatalisticamente sopportati dal poeta, oggi sono rimpianti. È accaduto l’impensabile. Nel Pagano non c’è consapevolezza del moto continuo che tutto trasforma, anzi sembra proprio che in lui lo stato finisca per prevalere sul moto. In un certo senso se ne duole, in un altro se ne compiace e si rasserena: [gli olivi] tramortiscono il furore / del giorno nella verde irresistenza / del flusso in cui s’adempiono. Mentre i pastori col sùfolo / sfiniscono l’umana inquietitudine.

[“Presenza taurisanese” anno XXXIX – n. 11-12, nov-dic 2021, p. 7]

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