La stagione di Sanremo sempre uguale in ogni tempo

di Antonio Errico

Secondo la tradizionale suddivisione dell’anno solare, quattro sono le stagioni: primavera, estate, autunno, inverno. Trentatré anni fa, ormai, il ligure Giuseppe Conte pubblicava un poema, intitolato appunto “Le stagioni”, in cui scriveva che la primavera si riconosce dagli improvvisi di onde e di vento, l’estate dagli orizzonti che sono un miraggio, e l’autunno da certi vortici silenziosi, e l’inverno dal mare cancellato come giardini da troppa neve. Però, qui, da noi, in questo Paese, alle  quattro stagioni se ne aggiunge una: da settantadue anni, alle stagioni tradizionali si aggiunge quella di Sanremo. La stagione di Sanremo quest’anno è già cominciata. La stagione di Sanremo si riconosce da una densa e diffusa atmosfera di felicità. Qualunque cosa sia accaduta appena ieri, o stia accadendo mentre respiriamo, oppure si prevede che accadrà,  comunque ci si ritrova coinvolti da un’atmosfera di inspiegabile felicità. Ma la felicità è sempre inspiegabile, forse, e comunque sempre tremendamente precaria. Scriveva Montale: “Felicità raggiunta, si cammina/ per te sul fil di lana./ Agli occhi sei barlume che vacilla/ al piede, teso ghiaccio che s’incrina”.

Al tempo in cui cominciò Sanremo, l’Italia era agricola, povera, analfabeta. Poi i contadini  abbandonarono  le campagne e si trasferirono nelle fabbriche, o si fecero carabinieri e poliziotti, per sottrarsi alla sventura di una grandinata che devastava la vigna; si spopolarono i villaggi del Sud e si riempirono i casamenti del Nord.

Poi venne e passò  il Sessantotto; vennero e passarono gli anni di piombo, la stagione delle stragi,  gli anni del riflusso, quelli dell’effimero; cambiarono i costumi, le mode, le voghe, cambiarono i governi, i papi, i partiti. Sotto i ponti passarono fiumi in piena, che travolsero molto, lasciando relitti galleggianti. Di quello che c’era non è rimasto quasi niente, se non Sanremo. Al festival sono stati alzati altari e poi quegli altari sono stati abbattuti. E’ stato assunto a simbolo della retorica, dell’ipocrisia, della pruderie perbenista, dell’Italia qualunquista, disimpegnata, piccolo borghese. E’ stato caricato di significati ideologici che non aveva e non voleva avere. Ma forse Sanremo voleva solo cantare. Non voleva fare altro che cantare. 

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