Di mestiere faccio il linguista 14. Lu monacieddu

di Rosario Coluccia

Dal 15 dicembre la piattaforma Netflix distribuisce «È stata la mano di Dio», ultimo film di Paolo Sorrentino. Meno affascinante (forse, a parer mio e di mia moglie dopo averlo visto due volte)  dello straordinario «La grande bellezza», non mancano anche in questo prodotto più recente gli incroci tra sacro e profano e gli squarci quasi surreali e a volte attoniti che hanno caratterizzato precedenti film dello stesso regista. In uno dei passaggi iniziali la bellissima zia del protagonista aspetta l’autobus per tornare a casa. Inaspettatamente viene invitata da uno sconosciuto, che si presenta come san Gennaro (sic) e mostra di conoscere molte cose della vita della donna (soprattutto il desiderio spasmodico di un figlio), a salire su una vecchia Rolls Royce, guidata da autista gallonato e con berretto, per recarsi insieme in un palazzo imprecisato. Qui, in un grande salone fatiscente, avviene la sconcertante apparizione di un individuo di ridotta statura che indossa un saio francescano; questi regala del denaro alla donna, mentre il presunto san Gennaro le dice di baciare la misteriosa apparizione e le rivela che presto potrà avere il figlio tanto desiderato.

Chi agisce in modi così imprevedibili è il «monaciello» (o «munaciello»). Il termine, alla lettera ‘piccolo monaco’, presenta un tratto fonetico tipico del dialetto napoletano, il cosiddetto dittongamento metafonetico che ricorre anche in parole come «castiello», «dienti», «fierro», «Surriento». Il monachello bambino della tradizione partenopea è figura ritenuta in grado di suscitare eventi fausti o infausti. Lo spiritello leggendario, di natura benefica o dispettosa a seconda delle circostanze, è un ragazzino abbigliato con un saio monacale e fibbie argentate sulle scarpe (nel film di Sorrentino indossa dei sandali). Le sue manifestazioni e i suoi comportamenti possono essere molto diversi. Attrae simpatia, quando deposita monete e soldi nascosti dentro le abitazioni, fa piccoli scherzi o lascia trapelare allusioni che velatamente suggeriscono i numeri da giocare al Lotto; risulta dispettoso quando occulta oggetti, a volte li rompe, o quando soffia nelle orecchie di chi dorme. Sfiora le belle donne, ma non si permette gesti di violenza fisica (posso scrivere questo se per un momento dimentico che, nella sensibilità dei nostri giorni, anche gesti non molto ortodossi e allusioni sessuali verbali sono correttamente visti come effettiva violenza). Conosce a menadito le vie sotterranee della città, che attraversa senza difficoltà per presentarsi inavvertito nelle case di chi non se lo aspetta.

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