Nella libertà il vero fine della scrittura

di Antonio Errico

Gianni Celati è  andato via  nella notte tra il 2 e il 3 di gennaio, a Brighton, in Inghilterra, dove viveva da più di trent’anni. Era nato il 10 di gennaio: domani di anni ne  avrebbe compiuti 85. Nel lucido e appassionato ricordo che ne ha fatto per il  “Messaggero”,  Renato Minore ha ripreso una cosa che Celati disse alcuni anni fa, che sintetizza una teoria e un sentimento della scrittura,  un giudizio sui tempi che viviamo,  sui valori che attribuiamo alle cose e alle storie.  Disse Gianni Celati:  “Io ho sempre scritto cose con cui gli editori non hanno fatto una lira. E questo, alla fine, mi ha dato una grande libertà. Sono tra coloro che ancora pensano alla scrittura come a un atto gratuito: si scrive per passare le serate, per coltivare l’ interiorità, perché la gratuità è fonte di contentezza. Invece ora pare che si scriva soltanto per fare colpo sul pubblico, per vendere copie, avvinghiati ai fatti e all’attualità, perdendo così completamente la dimensione avventurosa della scrittura, la sua potenza immaginativa”.

Si parlava di romanzi da scrivere, una volta, tra amici. Quindi si parlava di cose molto vaghe; si parlava di sogni. A un certo punto, uno degli amici disse che, sì, certamente,  aveva intenzione di scrivere un romanzo ma che prima doveva studiarsi il target.

Tra quegli amici c’era qualcuno che non sapeva nemmeno che cosa fosse il target e quando gli si spiegò che si trattava  del pubblico di riferimento, la fascia di mercato, la fetta di lettori che avrebbe acquistato il libro, si disse che  quello che lui aveva sempre pensato del romanzo fosse ormai definitivamente  superato. Anacronistico. Però qualche volta accade di considerare che forse mai un romanzo pensato in funzione del target sia risultato un capolavoro. Non saprei dire se Proust, Joyce, Kafka, Salinger, Mann,  abbiano pensato a un target. Non saprei dire se ci abbiano pensato Italo Svevo, Stefano D’Arrigo, Antonio Delfini, Faulkner, Musil, Hemingway. Però hanno scritto capolavori, il cui target è costituito dall’umanità.

La relazione tra romanzo e società è questione su cui si è detto forse tutto quello che si poteva dire e in qualche caso forse anche di più.  Fino a un certo punto si è trattato di una questione che coinvolgeva gli addetti ai lavori: editori, autori, studiosi. Poi c’è stato un romanzo che sulla questione ha richiamato l’attenzione dei lettori: “Il nome della rosa”, di Umberto Eco. 

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