Il Porto Sepolto (1916) di Giuseppe Ungaretti: i primi giudizi

di Antonio Lucio Giannone

Stampato a Udine nel dicembre 1916 dallo Stabilimento Tipografico Friulano in soli ottanta esemplari numerati, Il Porto Sepolto, di Giuseppe Ungaretti, circolò quasi esclusivamente nell’ambito degli amici e dei conoscenti  del poeta ad alcuni dei quali lo inviò egli stesso durante la breve licenza natalizia trascorsa a Napoli, quello stesso mese, in casa di Gherardo Marone. Ciononostante, questo libro, “destinato a imprimere un nuovo corso all’intera poesia italiana contemporanea”[1], suscitò un immediato interesse tra i giovani letterati del tempo che intervennero con note e articoli sulle riviste alle quali collaboravano. Non si trattò, a dire il vero, di un dibattito critico vero e proprio, in quanto gli interventi ebbero quasi tutti un carattere apertamente  ‘militante’, vale a dire legato alle particolari predilezioni letterarie dei rispettivi autori, alle loro simpatie, ai loro umori del momento. La ‘fortuna’ critica della poesia di Ungaretti ha inizio, com’è noto, dopo la pubblicazione di Allegria di naufragi, del 1919, e ancora di più nei primi anni Trenta, allorché videro la luce l’Allegria e Sentimento del Tempo, con i contributi fondativi di Alfredo Gargiulo, Gianfranco Contini, Pietro Pancrazi e Giuseppe De Robertis[2]. Tuttavia questi scritti sono significativi della primissima ricezione della poesia ungarettiana della quale solo in minima parte si riuscì a intravedere la straordinaria novità. Essi, però, fino a qualche tempo fa, erano parzialmente noti, dal momento che nella bibliografia della critica posta in calce al “Meridiano” dedicato a Ungaretti, del 1969, figuravano soltanto gli articoli sul Porto Sepolto di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini[3]. Solo nel 2000, nella Bibliografia critica, posta in calce al volume Viaggi e lezioni, erano presenti anche gli interventi di Marone, Fiorina Centi, Elpidio Jenco e Francesco Meriano[4].

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