Rapporto Censis e la società italiana nel 2021

Infatti, nel mondo moderno abbiamo avuto non solo momenti bui di negazione e di persecuzione della ragione scientifica (si pensi al processo di Galilei da parte della Chiesa), ma anche di rivolta contro l’ esaltazione acritica e trionfalistica della razionalità scientifica, che conduce a ignorare gli effetti perversi che, lasciata a se stessa, essa produce: la bomba atomica, le armi nucleari, le tecnologie di violenza e di sterminio. Tutta la cultura del Novecento è attraversata da una dialettica costante tra i sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive” del sapere scientifico e i critici delle “illusioni” e delle conseguenze negative che ad esso sono associate. Basterà ricordare che uno dei più grandi miti del secolo scorso è stato quello secondo cui la scienza avrebbe generato l’”uomo nuovo”, e che avrebbe risolto tutti i problemi della nostra vita, individuale e collettiva. Questo mito del prometeismo tecnico-scientifico si è infranto sugli scogli di una società e di una civiltà che non hanno mantenuto le loro promesse: in primo luogo, la promessa della prosperità o del benessere per tutti, se è vero che la ricchezza si è concentrata in pochissime mani e se il mito della crescita illimitata si è rivelata una “menzogna” ideologica a fronte di un incremento vertiginoso delle diseguaglianze sociali. È evidente che la pandemia, soprattutto nelle società capitalistiche avanzate, ha posto in essere un movimento, per così dire, di totalizzazione, cioè ha portato alla luce tutte le contraddizioni e le inquietudini che nell’immaginario collettivo fanno massa, soprattutto in quelle fasi che Ernesto De Martino chiamava “apocalissi culturali”, in cui si vive – con angoscia e con un misto di sentimenti tra l’effervescenza e la paura – la “fine del mondo” o, meglio, la fine di un mondo storicamente determinato che vede sgretolarsi le antiche certezze e i vecchi valori senza che il nuovo appaia all’orizzonte a prenderne il posto. In particolare, sono le generazioni più giovani che, come anche il Censis sottolinea, pagano il prezzo più alto di questa transizione storica, perché si sentono spogliati della prospettiva del futuro e della possibilità di una esistenza conforme alle loro aspettative. Sono generazioni senza futuro. Inoltre, in questo interregno tra due mondi riemergono credenze premoderne, superstizioni, pregiudizi: non a caso la scienza è uno di questi obiettivi presi di mira, tanto più che nel frattempo è caduto un altro mito, quello secondo cui la scienza sia indenne da logiche di potere e da dinamiche socio-politiche. Intendiamoci, la scienza come professione esige onestà intellettuale, imparzialità, trasparenza e dibattito critico dei suoi risultati e delle sue procedure. Ma, come ci rammentava Max Weber, la scienza è intimamente associata ai laboratori di ricerca, all’impresa sia pubblica che privata, e, dunque, vive in simbiosi con la politica e l’economia. Da qui l’enorme difficolta di articolare una critica razionale dei rapporti non sempre limpidi tra scienza e potere, tra razionalità scientifica e processi produttivi. Quello delle relazioni tra scienza o tecnoscienza e democrazia è un tema che non si può eludere e che ha delle implicazioni enormi sul governo delle società attuali. A questa comprensione dovrebbero contribuire gli intellettuali, intendendo il termine in senso generale: non solo gli scienziati che ci siamo abituati a vedere ogni giorno in tv, preposti alla “cura” delle nostre vite, ma anche gli scienziati sociali, gli storici, i filosofi, gli artisti, i giornalisti, gli operatori culturali (come vengono chiamati con un’orribile espressione). Ma spesso, come constatiamo quotidianamente, gli intellettuali sono una parte del problema. Sicché, forse dovrebbero cominciare a fare una schietta autocritica circa le loro responsabilità scientifiche e civiche.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 5 dicembre 2021]

 

 

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